venerdì 14 ottobre 2011

Si ricomincia da... il "Testimone inconsapevole"

Sono mesi che - per varie ragioni - non scrivo più sul blog...

Voglio ricominciare con un breve post in cui tenterò di esprimere tutta la mia soddisfazione per avere appena finito di leggere il romanzo di Gianrico Carofiglio dal titolo Testimone Inconsapevole, pubblicato da Sellerio editore.

Il libro racconta la storia dell'avv. Guerrieri (avvocato penalista di Bari) alle prese con la difesa di Abdou Thiam, cittadino senegalese di professione ambulante, accusato di avere sequestrato ed ucciso un bambino di appena 9 anni. Un delitto atroce e una vicenda in cui sembrano esistere prove schiaccianti a carico dell'imputato.

L'avv. Guerrieri, di cui nel libro vengono raccontate tutte le debolezze personali che contribuiscono a umanizzare la sua figura, pur in presenza di un quadro probatorio che suggerirebbe la richiesta di giudizio abbreviato (vale a dire un giudizio, quasi sempre di colpevolezza, allo stato degli atti ma la cui scelta comporta un consistente sconto di pena per l'imputato), decide di affrontare l'insidia del giudizio c.d. ordinario o dibattimentale: in quella sede, tramite il controesame degli investigatori e dei testimoni, tenterà di dimostrare l'innocenza del suo assistito.

Ed è qui, e precisamente nell'arringa finale dell'avv. Guerrieri (pagg. 275-300 ca.), che il romanzo arriva al suo climax. Mi ha colpito in particolare la citazione fatta della frase attribuita ad Albert Einstein: "è la teoria che determina ciò che osserviamo."  Richiamando questa frase il difensore dell'imputato vuole dimostrare che, fin dall'inizio, gli investigatori hanno veduto, percepito, sentito (dai testimoni e da altre fonti di prova) solo ciò che confermava la loro iniziale teoria (Abdou Thiam colpevole di sequestro di persona e di omicidio) e hanno trascurato, in perfetta buona fede, tutto il resto. Ciò, ripeto, non in mala fede, ma perseguendo il fine di giustizia.

E' la teoria del pre-giudizio che viene espressa in un romanzo in termini chiarissimi!

Ne consiglio la lettura (e la riflessione) a tutti!!

Buona serata e a presto!!   

 

giovedì 28 aprile 2011

Nucleare: una scelta economicamente e umanamente insostenibile

Qualche giorno fa il disastro nucleare di Chernobyl ha compiuto 25 anni.

Anche io ricordo l'apprensione vissuta nei mesi suggessivi all'esplosione del reattore della centrale e al conseguente sprigionarsi e diffondersi della nube tossica nell'atmosfera di tutta l'Europa.

Certo è che, se si pensa al tempo di decadimento delle scorie radioattive che originano dalla produzione di energia nucleare (in normali condizioni di esercizio e senza incidenti), un periodo di un quarto di secolo è davvero paragonabile ad alcune frazioni di secondo.

Ecco alcuni dati forniti dai tecnici:

"la mezza vita degli isotopi del plutonio 239 è di 24.000 di anni, la mezza vita degli isotopi dello iodio 129 è di 16.000.000 di anni, mentre quella dell'uranio 238 è addirittura di 4.500.000.000 di anni".

Ciò vuol dire che, producendo energia nucleare oggi, generiamo scorie radioattive che rimangono tali per un periodo INFINITO di anni: dati davvero allarmanti che la dicono lunga sulle fandonie che ci vengono raccontate sul "nucleare pulito"!

Tornando al "compleanno" del disastro di Chernobyl, mi hanno colpito le dichiarazioni del Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon a conclusione della sua recente visita sui luoghi del disastro.

Eccone alcune che sono state pubblicate da (alcuni) giornali:

"Leggere o sentir parlare di Chernobyl è una cosa ma venirci di persona è diverso."
"Gli incidenti nucleari non conoscono confini. E' il momento di chiederci se abbiamo veramente calcolato tutti i rischi e i costi. Dobbiamo tenere presente l'interesse mondiale, e non soltanto quello di qualche singolo paese."

Parole più che eloquenti: io ritengo che la produzione di energia nucleare sia una follia sia dal punto di vista strettamente economico sia per tutti i rischi e i costi che genera (e che continua a generare per un tempo infinito) per la vita e la salute del genere umano. Nella prospettiva mondiale evocata da Ban Ki-moon è arrivato il momento di ripensare ad un modello di sviluppo meno energivoro e sostenuto da fonti energetiche rinnovabili.

Tornando al nostro piccolo paese, ricordo di andare a votare per il referendum del 12-13 giugno per l'abrogazione di tutte le leggi che pianificano il "nuovo nucleare" in Italia!!!  



domenica 17 aprile 2011

Costituzione a ricreazione

Per costruire un domani migliore per noi e per i nostri figli segnalo un libro, scritto da Gherardo Colombo e Anna Sarfatti, dal titolo "Educare alla legalità", pubblicato da Salani Editore.
A quanto si comprende dalla recensione del volume, gli autori si propongono di fornire a genitori e insegnanti alcuni suggerimenti idonei a trasmettere a figli ed alunni i valori fondamentali della nostra Costituzione Repubblicana. Ad esempio, per spiegare il principio per cui tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge contenuto nell'art. 3 della Costituzione, viene fatto riferimento alla favola del "brutto anatroccolo" che non va discriminato per il colore del suo mantello.
Un manuale sicuramente interessante che ci può aiutare a far nascere nei nostri figli il senso di legalità e la necessità del rispetto dei diritti e dell'adempimento dei doveri essenziali per l'ordinata convivenza civile.
Buona lettura!

mercoledì 13 aprile 2011

Prescrizione e processo breve: un insulto alla Giustizia!!!

E ci siamo...  Salvo sorprese dell'ultim'ora questo pomeriggio la Camera dei Deputati, eccezionalmente e straordinariamente gremita per l'occasione, dovrebbe approvare la c.d. legge sul "processo breve", con annessa previsione dell'ulteriore accorciamento dei termini di prescrizione dei reati qualora l'imputato sia incensurato.

Come credo appaia evidente a tutti i cittadini dotati di un cervello pensante, questa è una nuova legge - resasi necessaria a seguito della parziale dichiarazione di illegittimità incostituzionale della legge sul c.d. "legittimo impedimento" a partecipare ai processi penali del Presidente del Consiglio e dei ministri - per garantire all'attuale premier di uscire indenne dai processi che si stanno avviando o celebrando di fronte al Tribunale di Milano.

Questa è l'unica motivazione che spinge l'attuale maggioranza ad approvare rapidamente (lavorando anche di notte!) questa proposta di legge che è un'insulto alla Giustizia! Infatti, con ogni probabilità, questa legge  non consentirà di rendere Giustizia a molti cittadini vittime di reati (si pensi, per i casi più eclatanti, alle vittime della strage di Viareggio, ai risparmiatori truffati nei casi Cirio e Parmalat, alle vittime dei crolli seguiti al terremoto de L'Aquila).

Personalmente ritengo che ogni qualvolta un reato venga dichiarato "estinto per prescrizione" e quindi non venga accertato se la persona imputata del medesimo sia colpevole od innocente si realizzi una SCONFITTA per la GIUSTIZIA!!!

Una vera riforma della giustizia deve tendere a realizzare un processo che, in tempi ragionevoli, arrivi SEMPRE ad accertare se la persona imputata sia colpevole od innocente: questo è l'unico modo per rendere GIUSTIZIA alle persone offese dai reati. Per fare ciò, si dovrebbe smettere con la politica dei tagli di risorse e di personale e investire per rendere veramente efficente il servizio reso ai cittadini. Qualche giorno fa, Gian Carlo Caselli suggeriva una riforma a costo zero: l'accorpamento delle sedi giudiziarie con l'eliminazione delle sedi più piccole e decentrate e lo spostamente del personale (magistrati e cancellieri) verso le sedi principali.

Per quanto mi riguarda, ABOLIREI LA PRESCRIZIONE PER TUTTI I REATI. Tutti dovrebbero affrontare il processo, con tutte le garanzie possibili e il principio di non colpevolezza fino alla sentenza definitiva di condanna, per accertare nel merito se sono colpevoli o innocenti rispetto alle imputazioni a loro rivolte. D'altra parte, stando a quanto riportato oggi da "Il Fatto Quotidiano" a pag. 3, la prescrizione NON ESISTE in Inghilterra e in USA, SI SOSPENDE durante il processo in Spagna, E' PARI AL DOPPIO DEL MASSIMO DELLA PENA prevista per il reato in Germania...

W la Giustizia!

lunedì 14 marzo 2011

I veri problemi della giustizia (civile) in Italia

In questi giorni si fa un gran parlare di "riforma della giustizia" in Italia.

Come è sempre successo in questi ultimi 20 anni, quando si parla di giustizia, ci si riferisce in primo luogo e soprattutto a quella penale (non a caso, l'ultimo ddl vorrebbe interventire su alcuni articoli della Costituzione in tema di azione penale e organizzazione della magistratura penale).

Per quanto riguarda la giustizia civile, invece, poco si è fatto e poco si fà, a livello legislativo, per colmare le enormi carenze strutturali e di organico che la rendono un servizio "inefficente" per i cittadini e le imprese. Questi sono i veri problemi della giustizia civile in Italia: la soluzione di questi, a mio parere, dovrebbe passare per l'aumento delle dotazioni e dell'organico dei magistrati togati (che danno garanzia di imparzialità e professionalità) in modo da realmente più celeri il contenzioso civile.

Penso che sia un errore e una perdita di tempo per l'utente del "servizio giustizia" quello di dovere obbligatoriamente passare, prima di poter rivolgersi ad un giudice, per il tentativo di conciliazione da esperirsi davanti a mediatori privati (sulla cui professionalià, vista il contenuto della legge che li ha istituiti, nutro sinceramente forti dubbi).

A tal proposito, pubblico qui di seguito il comunicato dell'Ordine degli Avvocati di Milano che riassume sinteticamente le ragioni di contrarietà alla nuova figura del mediatore per la conciliazione. Ragioni che io, come avvocato, condivido in pieno. Buona lettura...

ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MILANO

Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Milano, nella seduta del 3 marzo 2011,
PRESO ATTO

dell'insensibilità della politica rispetto all'allarme che l'avvocatura e gli altri operatori di giustizia ripetutamente e da anni lanciano per il permanere della grave e complessiva condizione di difficoltà in cui versa la Giustizia italiana, che nel quotidiano si manifesta non solo con l'eccessiva durata dei processi, ma anche con le carenze e le disarmonie organizzative, finanziarie, strumentali degli uffici giudiziari e con i ritardi nell'introduzione di moderne tecnologie informatiche e di innovative metodologie del lavoro;
CONSTATATO

che la riduzione dell'enorme carico di contenzioso civile arretrato gravante sugli uffici giudiziari è demandata a soluzioni legislative inadeguate se non addirittura controproducenti, quali la disciplina della mediazione finalizzata alla conciliazione di cui al D. Lgs. 28/2010 e la proposta di legge avanzata dal Ministero della Giustizia che, a tali fini, prevede la nomina di 600 giudici ausiliari, tra i magistrati e gli avvocati dello Stato in pensione, cui affidare la definizione delle cause più risalenti in attesa di sentenza;
RILEVATO

con particolare riferimento alla norma sulla mediazione:
- che il modello organizzativo in essa delineato, anziché favorire il ricorso alla Giustizia dello Stato, migliorandone l’organizzazione ed accrescendone l’efficienza, lo disincentiva attraverso una normativa regolamentare che consente l'istituzione di organismi di mediazione privi di adeguati e oggettivi requisiti diretti a garantire l'erogazione di un servizio professionale, qualificato, indipendente e rispettoso dei diritti dei cittadini che a essi si rivolgono;
- che la medesima normativa apre l'accesso all'assunzione del ruolo di mediatore a soggetti privi di effettive competenze giuridiche, nonostante essi siano destinati a trattare questioni giuridiche anche complesse, a confrontarsi con tecnici del diritto e a formulare proposte transattive incidenti sui diritti dei cittadini;
- che per la partecipazione al procedimento di mediazione non è richiesta l'assistenza obbligatoria dell'avvocato, così privando il cittadino dell'adeguata tutela dei diritti di cui è titolare nonché della possibilità di comprendere pienamente la consistenza delle proprie posizioni giuridiche;
- che il previsto obbligo di esperimento preventivo del procedimento di mediazione per un ampio gruppo di materie costituisce una limitazione al diritto all'accesso alla Giustizia ed è altresì fonte di ulteriori ritardi nella giustizia civile e di maggiori oneri economici per il cittadino;
CONSIDERATO

- che è stata sostanzialmente disattesa da parte del Governo la pressante richiesta di rinvio delle norme sull'obbligatorietà del tentativo di conciliazione avanzata dall'avvocatura al fine di consentire una più approfondita valutazione delle criticità di natura giuridica, anche costituzionale, oltre che logistiche ed organizzative, che permeano il provvedimento in questione;
- che la soluzione del rinvio di un anno limitatamente alle cause in materia di condominio e risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti è irragionevole, non consentendo di affrontare le problematiche evidenziate, rappresentando, di contro, un elemento di ulteriore incertezza;
- che la suddetta scelta di rinvio parziale appare più che altro come un tentativo maldestro di mascherare il cedimento alle pressioni provenienti dal mondo imprenditoriale che, con argomentazioni essenzialmente d'interesse economico, sostiene la mediazione;
DELIBERA

di aderire all’astensione dalle udienze proclamata dall'Organismo Unitario dell'Avvocatura Italiana per i giorni dal 16 al 22 marzo 2011 e di partecipare alla manifestazione indetta dallo stesso Organismo per il giorno 16 marzo 2011, presso il Teatro Capranica in Roma.

Milano, 3 marzo 2011

Il Presidente
Avv. Paolo Giuggioli

Il Consigliere Segretario
Avv. Enrico Moscoloni

lunedì 7 marzo 2011

Roma, 11 febbraio 1950 - Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale

Pubblico qui di seguito il testo del discorso pronunciato da Piero Calamandrei a Roma l'11 febbraio 1950 sul tema della difesa pubblica:

"Cari colleghi, Noi siamo qui insegnanti di tutti gli ordini di scuole, dalle elementari alle università [...]. Siamo qui riuniti in questo convegno che si intitola alla Difesa della scuola. Perché difendiamo la scuola? Forse la scuola è in pericolo? Qual è la scuola che noi difendiamo? Qual è il pericolo che incombe sulla scuola che noi difendiamo? Può venire subito in mente che noi siamo riuniti per difendere la scuola laica. Ed è anche un po' vero ed è stato detto stamane. Ma non è tutto qui, c'è qualche cosa di più alto. Questa nostra riunione non si deve immiserire in una polemica fra clericali ed anticlericali. Senza dire, poi, che si difende quello che abbiamo. Ora, siete proprio sicuri che in Italia noi abbiamo la scuola laica? Che si possa difendere la scuola laica come se ci fosse, dopo l'art. 7? Ma lasciamo fare, andiamo oltre. Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può essere strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà [...].
La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola "l'ordinamento dello Stato", sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo costituzionale e l'organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione di creare il sangue [...].
La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall'afflusso verso l'alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l'alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società [...].
A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità (applausi). Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali.
Vedete, questa immagine è consacrata in un articolo della Costituzione, sia pure con una formula meno immaginosa. È l'art. 34, in cui è detto: "La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi". Questo è l'articolo più importante della nostra Costituzione. Bisogna rendersi conto del valore politico e sociale di questo articolo. Seminarium rei pubblicae, dicevano i latini del matrimonio. Noi potremmo dirlo della scuola: seminarium rei pubblicae: la scuola elabora i migliori per la rinnovazione continua, quotidiana della classe dirigente. Ora, se questa è la funzione costituzionale della scuola nella nostra Repubblica, domandiamoci: com'è costruito questo strumento? Quali sono i suoi principi fondamentali? Prima di tutto, scuola di Stato. Lo Stato deve costituire le sue scuole. Prima di tutto la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare della scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius. Per aversi una scuola privata buona bisogna che quella dello Stato sia ottima (applausi). Vedete, noi dobbiamo prima di tutto mettere l'accento su quel comma dell'art. 33 della Costituzione che dice così: "La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi". Dunque, per questo comma [...] lo Stato ha in materia scolastica, prima di tutto una funzione normativa. Lo Stato deve porre la legislazione scolastica nei suoi principi generali. Poi, immediatamente, lo Stato ha una funzione di realizzazione [...].
Lo Stato non deve dire: io faccio una scuola come modello, poi il resto lo facciano gli altri. No, la scuola è aperta a tutti e se tutti vogliono frequentare la scuola di Stato, ci devono essere in tutti gli ordini di scuole, tante scuole ottime, corrispondenti ai principi posti dallo Stato, scuole pubbliche, che permettano di raccogliere tutti coloro che si rivolgono allo Stato per andare nelle sue scuole. La scuola è aperta a tutti. Lo Stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell'art. 33 della Costituzione. La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è l'espressione di un altro articolo della Costituzione: dell'art. 3: "Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali". E l'art. 151: "Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge". Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di Stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni [...].
Quando la scuola pubblica è così forte e sicura, allora, ma allora soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Allora, ma allora soltanto, la scuola privata può essere un bene. Può essere un bene che forze private, iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi, di gruppi politici, di filosofie, di correnti culturali, cooperino con lo Stato ad allargare, a stimolare, e a rinnovare con varietà di tentativi la cultura. Al diritto della famiglia, che è consacrato in un altro articolo della Costituzione, nell'articolo 30, di istruire e di educare i figli, corrisponde questa opportunità che deve essere data alle famiglie di far frequentare ai loro figlioli scuole di loro gradimento e quindi di permettere la istituzione di scuole che meglio corrispondano con certe garanzie che ora vedremo alle preferenze politiche, religiose, culturali di quella famiglia. Ma rendiamoci ben conto che mentre la scuola pubblica è espressione di unità, di coesione, di uguaglianza civica, la scuola privata è espressione di varietà, che può voler dire eterogeneità di correnti decentratrici, che lo Stato deve impedire che divengano correnti disgregatrici. La scuola privata, in altre parole, non è creata per questo.
La scuola della Repubblica, la scuola dello Stato, non è la scuola di una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta. Quindi, perché le scuole private sorgendo possano essere un bene e non un pericolo, occorre: (1) che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale, imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno di altre. (2) Che le scuole private corrispondano a certi requisiti minimi di serietà di organizzazione. Solamente in questo modo e in altri più precisi, che tra poco dirò, si può avere il vantaggio della coesistenza della scuola pubblica con la scuola privata. La gara cioè tra le scuole statali e le private. Che si stabilisca una gara tra le scuole pubbliche e le scuole private, in modo che lo Stato da queste scuole private che sorgono, e che eventualmente possono portare idee e realizzazioni che finora nelle scuole pubbliche non c'erano, si senta stimolato a far meglio, a rendere, se mi sia permessa l'espressione, "più ottime" le proprie scuole. Stimolo dunque deve essere la scuola privata allo Stato, non motivo di abdicazione.
Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito. Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime. Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci).
Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.
Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: (1) ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. (2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. (3) Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico! Quest'ultimo è il metodo più pericoloso. È la fase più pericolosa di tutta l'operazione [...]. Questo dunque è il punto, è il punto più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito [...].
Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la Costituente, a prevenirlo nell'art. 33 della Costituzione fu messa questa disposizione: "Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza onere per lo Stato". Come sapete questa formula nacque da un compromesso; e come tutte le formule nate da compromessi, offre il destro, oggi, ad interpretazioni sofistiche [...]. Ma poi c'è un'altra questione che è venuta fuori, che dovrebbe permettere di raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi giuristi chiamiamo la "frode alla legge", che è quel quid che i clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge per sapere come può violare la legge figurando di osservarla [...]. E venuta così fuori l'idea dell'assegno familiare, dell'assegno familiare scolastico.
Il ministro dell'Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti Familiari, disse: la scuola privata deve servire a "stimolare" al massimo le spese non statali per l'insegnamento, ma non bisogna escludere che anche lo Stato dia sussidi alle scuole private. Però aggiunse: pensate, se un padre vuol mandare il suo figliolo alla scuola privata, bisogna che paghi tasse. E questo padre è un cittadino che ha già pagato come contribuente la sua tassa per partecipare alla spesa che lo Stato eroga per le scuole pubbliche. Dunque questo povero padre deve pagare due volte la tassa. Allora a questo benemerito cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da questo doppio onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol mandare un suo figlio alla scuola privata, si rivolge quindi allo Stato ed ha un sussidio, un assegno [...].
Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? È un diritto che uno, se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica. Per portare un paragone, nel campo della giustizia si potrebbe fare un discorso simile. Voi sapete come per ottenere giustizia ci sono i giudici pubblici; peraltro i cittadini, hanno diritto di fare decidere le loro controversie anche dagli arbitri. Ma l'arbitrato costa caro, spesso costa centinaia di migliaia di lire. Eppure non è mai venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai giudici pubblici l'arbitrato, di rivolgersi allo Stato per chiedergli un sussidio allo scopo di pagarsi gli arbitri! [...]. Dunque questo giuoco degli assegni familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie di incitamento pagato a disertare le scuole dello Stato e quindi un modo indiretto di favorire certe scuole, un premio per chi manda i figli in certe scuole private dove si fabbricano non i cittadini e neanche i credenti in una certa religione, che può essere cosa rispettabile, ma si fabbricano gli elettori di un certo partito [...].
Poi, nella riforma, c'è la questione della parità. L'art. 33 della Costituzione nel comma che si riferisce alla parità, dice: "La legge, nel fissare diritti ed obblighi della scuola non statale, che chiede la parità, deve assicurare ad essa piena libertà, un trattamento equipollente a quello delle scuole statali" [...]. Parità, sì, ma bisogna ricordarsi che prima di tutto, prima di concedere la parità, lo Stato, lo dice lo stesso art. 33, deve fissare i diritti e gli obblighi della scuola a cui concede questa parità, e ricordare che per un altro comma dello stesso articolo, lo Stato ha il compito di dettare le norme generali sulla istruzione. Quindi questa parità non può significare rinuncia a garantire, a controllare la serietà degli studi, i programmi, i titoli degli insegnanti, la serietà delle prove. Bisogna insomma evitare questo nauseante sistema, questo ripugnante sistema che è il favorire nelle scuole la concorrenza al ribasso: che lo Stato favorisca non solo la concorrenza della scuola privata con la scuola pubblica ma che lo Stato favorisca questa concorrenza favorendo la scuola dove si insegna peggio, con un vero e proprio incoraggiamento ufficiale alla bestialità [...].
Però questa riforma mi dà l'impressione di quelle figure che erano di moda quando ero ragazzo. In quelle figure si vedevano foreste, alberi, stagni, monti, tutto un groviglio di tralci e di uccelli e di tante altre belle cose e poi sotto c'era scritto: trovate il cacciatore. Allora, a furia di cercare, in un angolino, si trovava il cacciatore con il fucile spianato. Anche nella riforma c'è il cacciatore con il fucile spianato. la scuola privata che si vuole trasformare in scuola privilegiata. Questo è il punto che conta. Tutto il resto, cifre astronomiche di miliardi, avverrà nell'avvenire lontano, ma la scuola privata, se non state attenti, sarà realtà davvero domani. La scuola privata si trasforma in scuola privilegiata e da qui comincia la scuola totalitaria, la trasformazione da scuola democratica in scuola di partito.
E poi c'è un altro pericolo forse anche più grave. È il pericolo del disfacimento morale della scuola. Questo senso di sfiducia, di cinismo, più che di scetticismo che si va diffondendo nella scuola, specialmente tra i giovani, è molto significativo. È il tramonto di quelle idee della vecchia scuola di Gaetano Salvemini, di Augusto Monti: la serietà, la precisione, l'onestà, la puntualità. Queste idee semplici. Il fare il proprio dovere, il fare lezione. E che la scuola sia una scuola del carattere, formatrice di coscienze, formatrice di persone oneste e leali. Si va diffondendo l'idea che tutto questo è superato, che non vale più. Oggi valgono appoggi, raccomandazioni, tessere di un partito o di una parrocchia. La religione che è in sé una cosa seria, forse la cosa più seria, perché la cosa più seria della vita è la morte, diventa uno spregevole pretesto per fare i propri affari. Questo è il pericolo: disfacimento morale della scuola. Non è la scuola dei preti che ci spaventa, perché cento anni fa c'erano scuole di preti in cui si sapeva insegnare il latino e l'italiano e da cui uscirono uomini come Giosuè Carducci. Quello che soprattutto spaventa sono i disonesti, gli uomini senza carattere, senza fede, senza opinioni. Questi uomini che dieci anni fa erano fascisti, cinque anni fa erano a parole antifascisti, ed ora son tornati, sotto svariati nomi, fascisti nella sostanza cioè profittatori del regime.
E c'è un altro pericolo: di lasciarsi vincere dallo scoramento. Ma non bisogna lasciarsi vincere dallo scoramento. Vedete, fu detto giustamente che chi vinse la guerra del 1918 fu la scuola media italiana, perché quei ragazzi, di cui le salme sono ancora sul Carso, uscivano dalle nostre scuole e dai nostri licei e dalle nostre università. Però guardate anche durante la Liberazione e la Resistenza che cosa è accaduto. È accaduto lo stesso. Ci sono stati professori e maestri che hanno dato esempi mirabili, dal carcere al martirio. Una maestra che per lunghi anni affrontò serenamente la galera fascista è qui tra noi. E tutti noi, vecchi insegnanti abbiamo nel cuore qualche nome di nostri studenti che hanno saputo resistere alle torture, che hanno dato il sangue per la libertà d'Italia. Pensiamo a questi ragazzi nostri che uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro, non disperiamo dell'avvenire. Siamo fedeli alla Resistenza. Bisogna, amici, continuare a difendere nelle scuole la Resistenza e la continuità della coscienza morale."

Voi cosa ne pensate?

Perché non abbiamo un Calamandrei moderno?

L'isola scoperta da Capitain Moore...

Sapete come si chiama l'isola scoperta da Capitain Moore?

E' il Great Pacific Garbage Patch (o Garbage Vortex) che si trova nel bel mezzo dell'Oceano Pacifico. Come avrete intuito dal nome, si tratta di un enorme massa di rifiuti (per la maggior parte in plastica) che galleggia nell'Oceano Pacifico settentrionale più a meno a metà tra le coste statunitensi e quelle asiatiche (Cina e Giappone).

La scoperta, che risale a qualche anno fa, è stata compiuta da Charles Moore (architetto di San Francisco) nel corso di una navigazione a vela che così descrive quello che ha visto: "Non si tratta di un'isola di rifiuti solidi e distinguibili ma di qualcosa di ancora più minaccioso, un'immensa zuppa di plastica che si distribuisce dalla superficie fin giù a fondo." L'origine di questa immensa quantità di plastica sarebbe, secondo Moore, da ricondurre per ben l'80% a scarichi terresti non correttamente gestiti e per il residuo 20% agli scarichi delle navi e delle imbarcazioni da diporto e da pesca.

Ognuno di noi si può immaginari i danni che questa immensa quantità di plastica possono produrre alla fauna e alla flora marina.

E noi umani (a nessuno dei quali penso farebbe piacere trovarsi invaso da rifiuti di plastica nel corso di una vacanza trascorsa in qualche isola del pacifico) cosa possiamo fare?

Secondo me, ognuno di noi può agire:

- riducendo al minimo il consumo di prodotti che vengono imballati nella plastica (ad es. acqua minerale);
- collaborare nella raccolta differenziata della plastica da inviare alle filiere del recupero e del riciclo.

Voi cosa ne pensate?

P.S.: potrete ritrovare alcuni dei contenuti di questo post, nell'articolo di Marco Dolcetta pubblicato a pag. 10 de Il Fatto Quotidiano di Domenica 27 febbraio 2011.